5 ottobre 2010

Scelte

Rieccomi, dopo una lunga pausa. Un periodo denso di emozioni, di esperienze più o meno belle, di decisioni, importanti. Una tra tutte quella di restare. I dieci mesi che ho passato in Senegal mi hanno dato tanto, e mi hanno tolto qualcosa. Mi hanno dato la possibilità di materializzare quella che finora era solo una passione nella mia testa, questo lavoro che ho sognato a lungo e per la quale ho cercato di prepararmi al meglio ma che fino a dicembre scorso era rimasto, nel cassetto. Un sogno che sto realizzando, lentamente, a piccoli passi, ma avanzando. Sto cercando di prendere quello che di positivo mi ha trasmesso questo paese, di rielaborarlo nella maniera più personale possibile e di rigettarlo sotto forma di impegno, di lavoro duro, di vita intensa. Mi è stata data una possibilità, quella essere un piccolo tassello nel mosaico dei tentativi di dare dignità a quelle forme di vità nobili e pure che sono i bambini. Un progetto sulla protezione dell'infanzia, di cui questo paese ha maledettamente bisogno. Sono ancora troppi i bambini che non vanno a scuola, sono ancora troppi quelli che lavorano ancor prima di imparare a leggere e scrivere, sono ancora troppi quelli che imparano a camminare tra i rifiuti del pesce essiccato, quelli che lavorano il legno e il ferro nei laboratori di artigiani quando gli unici strumenti che dovrebbero tenere tra le mani sono la penna e la carta. Sono migliaia le bambine a cui è negato il diritto allo studio semplicemente perchè sono bambine, che rimangono a casa a fare i lavori domestici per poi mettersi al servizio di estranei per quattro spiccioli. Servizio che sempre più spesso non significa fare solo il bucato. Sono un fiume in piena i Talibè, il frutto dello stravolgimento di un costume religioso e culturale che vuole che i bambini imparino l'arabo nelle scuole coraniche. Liberi i genitori di voler insegnare i precetti religiosi ad un bambino, nella piena libertà e rispetto della vità del piccolo se non fosse che alle virtuose darah (scuole coraniche appunto) in cui l'insegnamento è l'unica attività si affiancono quelle perverse in cui i bambini sono abbandonati dai genitori con la scusa della religione, costretti a mendicare dall'alba fino al tramonto con il rischio di violenze e abusi per strada e di percosse al loro ritorno per non aver consegnato la somma imposta dal "maestro". Decine e decine di bambini che si muovono in gruppo, appostati ad ogni angolo delle strade, vestiti di stracci, in mano il loro barattolo di latta per raccogliere le elemosine e negli occhi la tristezza del cuore. Occhi che ti implorano, che disperatamente e silenziosamente chiedono aiuto. Chiedono che i loro diritti siano rispettati, la loro dignità preservata che il loro sviluppo mentale e fisico non sia compromesso. Se la mia decisione di restare qui altri due anni aiuterà solo una piccola parte di questi bambini, a ritrovare un briciolo di serenità, e a diventare degli adulti liberi di scegliere che tipo di vita condurre, avrò dato un senso alla mia libertà di scegliere il tipo di vita da condurre .