Alle 4 di un pigro sabato pomeriggio inizio a preparare il mio zaino per passare il week end a Dakar, dagli amici. La doccia che ho appena fatto non sembra darmi sollievo e il caldo asfissiante si è già impadronito della mia camera. Dopo una certosina organizzazione del mio bagaglio in cui ho fatto entrare circa il triplo delle cose che la sua capienza prevederebbe esco di casa in compagnia di Clemente in cerca di un taxi. Il caldo rallenta ulteriolmente i miei movimenti già "bradiposi" di per sè e dopo appena cinquanta metri di marcia sbatto il mio zaino a terra e mi ci siedo sopra lasciando a Clemente l'incombenza di cercare il taxi che ci porterà alla gare routière. Dopo una breve ma obbligatoria contrattazione montiamo per riscendere dopo cinque minuti alla stazione da cui partono i mezzi per le principali città del Senegal. Quel luogo al limite del surreale in cui appena arrivi, circa venti persone ti circondano. Gli organizzatori delle macchine in partenza che ti intercettano ancor prima di scendere dal taxi, i bambini che chiedono l'elemosina cantilenando una litania ovviamente incomprensibile per me. Le venditrici di frutta con i loro vassoi pieni di banane di manghi e di altri frutti di stagione e poi quelle che vendono le bustine d'acqua, le ricariche e gli arachidi. Anche qui la contrattazione è d'obbligo. Per i toubab. Siamo i primi ma il sept places, otto con l'autista, si riempie così velocemente che senza neanche accorgermene siamo in viaggio per Dakar. Di comodità neanche a parlarne, dopo dieci minuti esatti inizio a muovermi nel mio micro spazio di pochi centimetri quadrati, cercando di non spezzarmi la schiena e mettere i piedi in una posizione pseudo confortevole. Neanche a dirlo capitiamo nella fila posteriore, quella in cui i finestrini sono finti. In compenso una tendina mi ripara dal sole; o almeno è quello che pensavo finchè non mi rendo conto che il suo tessuto nero ruvido e sintetico è più caldo dei raggi a contatto con la pelle. Nel frattempo la schiena inizia ad assumere la forma dello schienale del mio sedile. La strada come sempre offre paesaggi suggestivi sebbene l'alternanza di immagini così diverse eppure così comuni tra loro mi fa pensare ad un puzzle in cui non sempre i pezzi combaciano tra di loro ma che alla fine riescono a darti comunque l'immagine che è sulla scatola. Sulle strade di passaggio donne "con in testa grandi carichi e in braccio bimbi piccoli" aspettano quegli improbabili minibus alla cui vista ogni volta mi chiedo quale legge della fisica a me ovviamente sconosciuta ne tenga insieme i pezzi. Sui marciapiedi banchi di frutta colorata disposta in piramidi in cui l'arancio si mescola al giallo, il verde al rosso come a creare quadri di natura viva. Pochi metri più avanti carcasse di macchine arruginite si alternano a cumuli di spazzatura nelle discariche improvvisate che avvelenano questo paese. Ad ognuna di queste immagini corrisponde anche un odore diverso. Il pesce essiccato diventa dopo un pò carne alle cipolle; al fastidiossimo odore dei rifiuti si sostituisce dopo poco quello pungente del caffè touba. Una miscela pungente, nera e bollente dai sapori un pò orientali. Ma il piacevole caos che i colori i suoni e gli odori producono nella mia mente diventa il rumore sordo del cambio dell'auto che si rompe. Merde! scendiamo nel bel mezzo della strada alla ricerca di un altro taxi che ci porti a destinazione. Inshallah.
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